L’impianto a carbone nel feudo dei padrini promette lavoro ma ‘danneggia l’ambiente’

Sulle macerie dell’ex Liquichimica dovrebbe nascere una centrale a carbone da 1.320 megawatt. Carbone pulito, tranquillizzano dalla Sei, la società italo-svizzera che dovrebbe realizzare l’investimento. L’opera costerà un miliardo di euro, coinvolgerà almeno 1.500 addetti per la sua costruzione, e richiederà molte consulenze. Una volta realizzato, l’impianto impiegherà 300 persone. Ma le cifre indicate dai manager svizzeri non corrispondono alle valutazioni di impatto ambientale del ministero dell’Ambiente

Nelle giornate terse, da Montebello Jonico e Saline Joniche, venti chilometri a sud di Reggio Calabria, si può ammirare l’Etna. Siamo in piena area Grecanica. Una meraviglia per gli occhi, oscurata dall’ecomostro dell’ex Liquichimica. Un monumento all’impunità frutto di un patto non scritto tra Stato e ‘Ndrangheta. Uno tra i peggiori delitti ambientali rimasto impunito. Cemento e asfalto al posto della spiaggia, ferro arrugginito e strani bidoni a contatto con il mare. Entrati nell’ex Liquichimica lo scenario è apocalittico. La costa circostante è stata divorata dagli ingenti prelievi di sabbia servita alla realizzazione del porto e delle strade interne alla strutture struttura. Le strutture ferrose divelte e la rena che chiude l’entrata del porto sono i segnali che il luogo è off limits. Una bomba ecologica nel feudo dei padrini della cosca Iamonte. Capo carismatico è il boss massone don Natale Iamonte. Padrini, un tempo pastori e macellai, che sono diventati imprenditori grazie ai soldi dello Stato. Un potere che hanno esteso a suon di denari fino a Desio, nella profonda Brianza.

Sulle macerie dell’ex Liquichimica dovrebbe nascere una centrale a carbone da 1.320 megawatt. Carbone pulito, tranquillizzano dalla Sei, la società italo-svizzera che dovrebbe realizzare l’investimento. I partner di Sei sono Repower, Gruppo Hera, Foster Wheeler italiana e Apri sviluppo. Il socio di maggioranza è Repower, il colosso svizzero pubblico-privato. Tra gli azionisti della società c’è il cantone dei Grigioni, dove Repower ha sede. Hera è invece una creatura emiliano-romagnola. E attraverso le sue controllate Calenia ed Hera Med, partecipa in alcuni investimenti energetici del Sud. Uno su tutti, la centrale a Turbogas di Sparanise, in provincia di Caserta, dove tra i consiglieri del Consiglio d’amministrazione della società che gestisce l’impianto c’è Giovanni Cosentino, fratello dell’ex sottosegretario imputato per legami con la camorra.

Sulla gestione delle centrali energetiche campane è stata avviata un’istruttoria da parte dell’Antitrust che indaga su una possibile distorsione del mercato dovuta a un’intesa tra le società Egl, Calenia, Repower, Set spa e Tirreno Power. Secondo l’organo di vigilanza avrebbero creato una sorta di cartello per vendere energia a Terna, il principale proprietario della rete di trasmissione dell’energia elettrica. La centrale di Saline avrà un costo di oltre 1 miliardo di euro e, secondo i dirigenti dell’azienda, avrà ricadute sul territorio calabrese stimabili in 1 miliardo e 200 milioni di euro. Un’opera che coinvolgerà 1.500 addetti per la sua costruzione, oltre a diverse aziende locali che forniranno supporto per diverse attività e consulenza. E una volta realizzato, l’impianto impiegherà 300 persone. Almeno queste sono le cifre indicate dai manager svizzeri.

Numeri che non corrispondono a quelli del decreto Via, la valutazione impatto ambientale del ministero dell’Ambiente non ancora reso pubblico ma che “Re le Inchieste” ha potuto visionare, con cui si autorizza la realizzazione della centrale. Gli stessi dirigenti di Sei parlano di un’occupazione a regime di 140 unità. Promesse di lavoro, che ruotano attorno a un investimento economico imponente. Che potrebbero risvegliare appetiti clientelari e mafiosi. Come fu per la Liquichimica, alla cui realizzazione la parte del leone è toccata al clan Iamonte di Melito Porto Salvo, 10 chilometri a sud di Saline. In Italia le centrali a carbone funzionanti sono 12, tra queste le più inquinanti per produzione di Co2, secondo alcune stime, sono Brindisi Sud, la centrale ex Endesa di Fiume Santo (Ss) e l’impianto Enel di Fusina (Ve).

Autorizzazioni ministeriali contraddittorie La commissione Via del ministero dell’Ambiente si è espressa nel 2010, un decreto tenuto segreto che “Re le Inchieste” ha potuto sfogliare. E’ prassi pubblicarli sul sito ministeriale, com’è avvenuto ad esempio per il parere negativo relativo alla riconversione a carbone della centrale a turbogas di Rossano, in provincia di Cosenza. Un progetto firmato Enel. Sul decreto si legge che la tecnologia a carbone “è in contrasto con il Piano energetico regionale” e “il progetto non è compatibile con l’ambiente”. Per Saline la Via è invece positiva. La società elvetica sostiene, nella domanda presentata alla Commissione ambientale, che la centrale “potrebbe diventare occasione di valorizzazione e motore di sviluppo, anche in chiave paesistico-ambientale e turistica”. Gli esperti del Ministero, pur dando il via libera al progetto, non condividono l’ipotesi della centrale come motore di sviluppo turistico.

“E’ improbabile che la realizzazione della Centrale in progetto possa diventare un motore di sviluppo turistico”. E lanciano un messaggio chiaro alla Regione: non esistono “progetti alternativi di recupero ambientale finalizzati allo sviluppo del turismo”. Ma perché tenere nascosto quel parere? Di certo è in antitesi a quello espresso dal Ministero di Beni culturali, secondo cui la centrale non si può costruire perché sorgerebbe su un’area ricca di reperti dell’età ellenica.